sabato 8 gennaio 2011

La leggenda dell'antica amicizia del dio del mare col popolo di Caledonia

Tanto tempo fa, quando l’epoca degli uomini era appena cominciata e il mondo non era ancora completo, il dio Tempo si accorse che le cose nel mare non andavano affatto bene. Il popolo marino, nascosto dalla superficie del mare agli occhi degli dei, viveva ignorando le leggi divine e trascurava ogni principio di armonia e ordine, che era invece sovrano nel resto del mondo. Poiché Tempo era occupato da questioni più urgenti, incaricò Fortuna di scegliere una creatura cui donare lo scrigno dei poteri che l’avrebbe trasformata in divinità. A questa creatura sarebbe stato affidato il controllo del mare. Fortuna fu ben lieta di poter scegliere da sola: Tempo le avrebbe sicuramente impedito di dare i poteri alla creatura che favoriva in quel momento. Il suo nome era Teneidon, era un semidio figlio di Amore e uno strano mostro marino, Ghilfin. Ghilfin era il mostro più debole e maldestro che si fosse mai visto, e Amore gli si era concessa mossa da pietà. Teneidon era brutto e goffo, ma fortuna aveva sempre prediletto le creature più improbabili. Fortuna donò a Teneidon lo scrigno ed egli divenne il dio del mare. Quando Tempo fu informato della scelta di fortuna, la chiamò al suo cospetto e la rimproverò aspramente. Fortuna non era disposta a subire in silenzio: si scatenò un litigio che durò un paio di secoli. In quel periodo il mondo rimase privo della guida del padre Tempo, e Teneidon fu privato dell’appoggio che Fortuna gli aveva promesso. Gli aitanti del mare non gli portavano rispetto e gli disobbedivano, rifiutandosi di obbedire a un re tanto privo di grazia. Teneidon, dio, aveva forza e poteri tali da costringere il popolo marino all’obbedienza, ma non voleva ricorrergli. Il suo cuore tenero e la convinzione che l’obbedienza derivasse (o dovesse derivare) dal rispetto e non dalla paura, gli impedivano di usare la forza sul popolo marino.
Un giorno, il brutto dio, piangeva avvilito su uno scoglio in riva al mare; un uomo pescava poco distante. L’uomo vide una bellissima e imponente creatura in quello che i marini vedevano come un brutto e goffo sovrano. Infatti, a quel tempo, gli uomini erano creature sporche e rozze, più simili alle scimmie che agli dei, ai loro occhi, e in confronto a loro, il dio del mare non era privo di bellezza. Il pescatore corse al villaggio e tornò in compagnia di molti dei suoi simili, tutti portavano doni e cibi al dio. Commosso da tale spontanea manifestazione di reverenza e rispetto, il dio decise di aiutare gli uomini a dispetto degli abitanti del mare. Gli insegnò a nuotare, a costruire barche e i segreti delle creature marine, in modo ch’essi poterono pescare con maggior efficacia e sfuggire ai mostri marini. Agli uomini, in cambio di questi segreti e della protezione alle navi, chiese di limitare la zona di pesca. Da quest’antico patto deriva l’usanza rispettata tuttora dai pescherecci della regione caledone, di non pescare oltre la linea da cui dal mare si vede all’orizzonte la terra.
Gli uomini, grazie al favore di Teneidon, ebbero cibo in abbondanza e divennero i padroni della superficie marina. I Caledoni trasmisero, poi, le proprie conoscenze agli uomini delle altre regioni, ma si dice ci siano segreti che solo i marinai caledoni conoscono.
Presto gli abitanti del mare si trovarono a temere gli uomini, le loro barche, le reti e le loro conoscenze. Avevano l’impressione che conoscessero tutti i loro segreti. Re Teneidon parlò al suo popolo, gli rivelò come gli uomini godessero del suo favore e gli descrisse il patto stipulato. Gli abitanti del mare si resero conto del rispetto che i dio meritava, gli giurarono rispetto e obbedienza e lo supplicarono di non favorire eccessivamente gli uomini a loro discapito. Il dio promise di mantenere un equilibrio, agli uomini era concesso di pescare vicino alla costa e di navigare, ma il mare apparteneva a loro e se gli uomini avessero mostrato di non rispettare la sovranità degli abitanti del mare, li avrebbe puniti severamente. Da allora Teneidon governa il mare con giustizia, osservando le leggi di Tempo e di Thabil. Gli umani dimenticarono l’antico patto e ora navigano e pescano ovunque, ed è per questo che la navigazione è un mestiere tanto pericoloso. Solo i Caledoni, discendenti della tribù che incontrò il Dio, rispettano l’antica usanza, e le loro navi sono protette dalla furia dei mari.

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